Questo articolo è suddiviso in due paragrafi. Nel primo si parla della nascita del castello di Mondavio, dove a un certo punto confluirono di fatto gli abitanti dei tre castelli preesistenti dell’Aguzza, del Castellaro e di Sant’Eleuterio. Nel secondo si parla invece della vicina Orciano, le cui origini sono ancora più remote.
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IL CASTELLO DI MONDAVIO
Sant’Eleuterio e San Michele sono i santi protettori di Mondavio. Eleuterio, nome di origine greca, significa “il liberatore”. Michele è l’Arcangelo guerriero, principe delle milizie celesti; avversario di Satana, protettore dei protettori. Il suo nome significa: “Chi come Dio?” ed è un severo monito per chi abbia la presunzione di sostituirsi all’Onnipotente. Il primo guida ideale dei Bizantini, il secondo protettore per eccellenza della Nazione Longobarda. Insieme patroni di Mondavio: come dire cane e gatto pacificamente uniti!
Nella sintesi iconografica dello stemma castellano, una candida colomba in campo vermiglio, posta sopra tre colli, i “primi habitatori” – come scrive il Seta – “vollero fissare le regole della futura condotta di vita: candore di costumi ed innocenza uniti ad un ardente spirito di carità”. Enfatica idealizzazione di quelle che furono le reali incombenze, sicuramente dettate da pressanti eventi, che spinsero i tre nuclei originari a formare il nuovo centro murato.

Stemma del Comune di Mondavio – Da una foto conservata nella collezione De Santi (qualcuno sa dove si trova fisicamente questo quadro???)
Ma i suasani, scampati alla distruzione della Città, che si erano rifugiati sul casale dell’Aguzza; i Bizantini di Sant’Eleuterio e i longobardi del Castellaro, erano ormai praticamente integrati in una nuova, comune, realtà che vedeva nell’unione l’unica vera salvezza per i piccoli castelli.
La data esatta della costruzione del castello di Mondavio è praticamente sconosciuta. Nella donazione di Pietro di Guiduccio di Guido, del 4 aprile 1155, in cui vengono cedute all’eremo di Fonte Avellana le proprietà, nel Comitato di Senigallia nella Corte di Castellare (in cui si trovava Sant’Eleuterio), nella parrocchia di Santa Maria delle Terre, in una postilla il priore Savino “promette per sé e per i suoi successori che se Pietro oppure i suoi eredi faranno un castello, nello stesso monte dove è ubicata la chiesa di Santa Maria delle Terre e chiederanno di recuperare la sopradetta terra, sarà pronto a restituirla, scambiandola con altro bene, a Pietro e ai suoi eredi allo stesso modo”.
Questa postilla ci fornisce una indicazione basilare per formulare l’ipotesi della decisione presa allora di costruire il nuovo castello non “nel monte stesso di Santa Maria delle Terre”, bensì in “Monte Avio”, il cui toponimo fa la sua apparizione, per la prima volta, nella Bolla di Alessandro III del 1178.

1626 – Veduta panoramica di Mondavio dal Codice Barberiniano, ad opera di Francesco Mingucci. (copyright © Biblioteca Apostolica Vaticana)
Questa nuova realtà costituitasi con l’unione dei soggetti, qui presi in esame, originerà in poco tempo una vera e propria “rivoluzione” di priorità e competenze nell’assetto territoriale circostante. Come, diversamente, spiegare il fatto che, dal 1327 al 1380, il nuovo castello abbia potuto assumere una netta supremazia politico-amministrativa, con le note vicende legate al “Vicariato” sui vicini castelli del “Comitato Quondam Fanii”, senza considerare l’importanza avuta dalle “Terre” qui trattate, precedentemente alla nascita del castello di Mondavio?
25/5/2020
G. Pierangeli
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URCIANO
Agostino Scipioni, dal 1856 segretario municipale, nella sua “Relazione topografica della Terra di Orciano”, lamenta la scarsità di documenti e fonti attendibili sull’origine dell’antico Castello.
“Rapporto Istoria non si hanno notizie anteriori al VII secolo” [1].

1626 – Veduta panoramica di Orciano dal Codice Barberiniano, ad opera di Francesco Mingucci. (copyright © Biblioteca Apostolica Vaticana)
I documenti fatti bruciare, nel 1516-17 da Lorenzo de’ Medici, negli archivi di tutti i luoghi del Ducato di Urbino, avevano “seppellito nelle fiamme la notorietà dei natali di quelle terre”.
“Da alcuni manoscritti sottratti alle fiamme per usate diligenze hassi che nel luogo ove in oggi ubicato è il Paese, tra il Cesano ed il Metauro, una selva esistesse lunga di più miglia nel di cui mezzo sorgeva piccolo tempio consacrato a Giano.
Ivi a gara affollavansi i circonvicini popoli, e devoti le risposte implorando dall’oracolo, riponevan frattanto in un vaso di creta, che sull’altare posava, le loro offerte dell’oro e dell’argento”.
Da questo l’ipotetica ricostruzione: URCEANUS; “Orcio di Giano”.
Procopio da Cesarea ne “La Guerra Gotica” (520-565 d.C.) [2] descrive la costruzione edificata nell’Urbe:
“Egli ha il suo tempio nel Foro, […] tutto di bronzo, di forma tetragona e grande tanto da coprire la statua di Giano. Questa statua di bronzo è alta non meno di cinque cubiti, in tutto il resto ha figura umana salvo che ha la testa con due facce delle quali una è volta a oriente, l’altra ad occidente. Dinanzi a ciascuna faccia sonvi porte di bronzo, le quali secondo l’antica costumanza romana in tempo di pace e di bene si chiudevano, quando invece si stesse in guerra si aprivano.”
Per il nome Orciano proponiamo l’etimo IN ORAE JANUS: nel luogo (limite, estremità, confine) di Giano cioè del tempio dedicato alla divinità bifronte, posto sul colle più elevato della cresta spartiacque fra le valli del Cesano e del Metauro, probabile confine tra il Municipio Romano di Suasa e Pisaurum [3].
I due termini stabiliti dalla vittoria riportata da Roma, nel 295 a.C. al Sentino, nella “Battaglia delle Nazioni” con la successiva romanizzazione dell’ “Ager Gallicus” e lo scontro avvenuto al Metauro, nel 207 a.C., tra Romani e Cartaginesi, ci consentono di collocare, seppur approssimativamente, la datazione del tempio dedicato a Giano.

Anni ’10 – Una vista di Orciano con la chiesa di San Cristoforo (poi demolita nel 1970 per lasciar spazio alla strada) in uno scatto di Luigi Peroni (scansione da negativo conservato da Luciano Peroni).
“La ricerca delle Pievi – scrive Alberto Polverari[4] – si riallaccia alle origini cristiane dei vari luoghi e quindi anche di Orciano”. Nel territorio orcianese erano presenti la Pieve di San Cristoforo (demolita nel 1970) e la Pieve di Santa Maria.
“Quest’ultima – secondo lo Scipioni – fu sempre denominata Pieve del Cesano ove accorrevano le genti da tutte le parti a ricevere il battesimo d’immersione, come ce lo addita il marmoreo lavacro rinvenuto nell’anno 1814 per gli scavi tentati nel mezzo della medesima”.
Il 21 agosto 1990, insieme ai sigg. Alfredo Rosini di San Michele al Fiume e Carlo Ceccarelli di Orciano ho effettuato un sopralluogo nell’area in cui sorgeva la Pieve di Santa Maria, oggi terreno agricolo di proprietà del sig. Brunetti di Orciano. In mezzo alla tartufaia affiorano ancora frammenti di tegoloni tombali, mattoni da pavimentazione e altri reperti di epoca romana.
L’attuale proprietario ci ha raccontato che nel 1961, quando ha acquistato il terreno dalla Parrocchia, vi ha trovato un’enorme maceria. Raccolti pietosamente i resti dei corpi tumulati e formato un ossario comune nel cimitero comunale, una pala meccanica vi ha lavorato per quasi un mese, sgombrando quanto la comunità vi aveva fino a quel momento scaricato, utilizzandolo come discarica. Mattoni, coppi, tegole e altri elementi in laterizio insieme alla pietra d’altare e ad una vasca di pietra(!) furono utilizzati come sottofondo per i magazzini, in costruzione, del sig. Secchiaroli.
Nelle “Carte di Fonte Avellana” si trovano interessantissimi documenti del nostro territorio. Fra questi, i due del 1152 e 1155, rogati da “Petrus Tabellio de Urciano”, riguardanti il “Castellaro” longobardo di Pietro di Guiduccio di Guido. Nel volume 6, doc. n. 1119, Pietro, rettore di Santa Croce (di Fonte Avellana), rinnova l’enfiteusi, a Giovanni Benvenuti di Mondavio, su un terreno in località “Romanella”, nella Corte di Orciano.
18/01/2021
G. Pierangeli